
La città imperiale dopo il terremoto, alla scoperta di un nuovo inizio
Un reportage di Benedetta La Corte
L’8 settembre 2023 un terremoto di magnitudo 6.8 scuote la regione di Marrakesh Safi: quasi 3.000 morti, oltre 5.000 i feriti. Un sisma che registra il maggior numero di vittime nella storia del Nord Africa degli ultimi cinquanta anni. Il re Mohammed VI proclama 3 giorni di lutto nazionale con bandiere a mezz'asta in tutti gli edifici pubblici
A pochi passi dal mio riad, a Marrakesh, nella Medina, in via Arset Moula Taoulain, il terremoto dell’8 settembre ha letteralmente sbriciolato una casa. I proprietari ora vivono in periferia, insieme ai genitori anziani. Non appena hanno avvertito la prima scossa sono scappati in strada. Ma è stata la seconda, quella delle ore 23.11 a causare il crollo dell’abitazione. Sarebbero potuti finire lì, sotto le macerie.
Inshallah, la volontà di Dio, come dicono da queste parti, li ha salvati. Inshallah, la casa è adesso un cumulo di macerie di fronte ai loro occhi, ma per fortuna possono raccontarlo, Inshallah, sono sopravvissuti al disastro.


Nella provincia di Al Haouz hanno perso la vita 1.452 persone, a Taroudant sono state 764, a Chichaoua 202. Nelle province di Ouarzazate, le vittime sono state 38, a Azilal 11 e nella prefettura di Agadir 5
Solo il terremoto di Agadir nel 1960 causò più morti, 15mila, nonostante la magnitudo più leggera, inferiore ai 6 gradi

Il terremoto di Marrakesh è stato avvertito persino in Spagna, Algeria e Portogallo
Nessuna vittima fra i cinquecento italiani che erano presenti nella regione. Quattro turisti francesi hanno perso la vita

Nella città di Casablanca ci sono stati 3 morti
Le vittime a a Marrakesh sono state 18

Ingenti i danni provocati dal sisma agli edifici, moschee e palazzi storici

L'ex quartiere ebraico il Mellah è stato completamente distrutto

Raggiungiamo il villaggio berbero di Tafza, dopo un percorso di curve e tornanti. La distruzione del terremoto è evidente.
Haroui è la nostra guida. Ci accompagna a visitare l’abitazione berbera di sua zia: «Qui il terremoto ha provocato due vittime, marito e moglie – ci racconta - nel villaggio dell’ Ourika, invece sono morte fra le 40 e le 45 persone».
Tafza, famoso per l’argilla, conta circa 200 case, ed è situato nella valle dell’Ourika (Atlante), parte della regione di Al Haouz, quella più colpita dal terremoto.
I bambini di Tafza per due mesi non sono andati a scuola per i danni subiti dalle strutture scolastiche. Secondo i dati dell’Unicef sono circa 100 mila i bambini colpiti dal sisma in Marocco, molti rimasti orfani, in particolare quelli che vivono nei villaggi berberi più remoti dell’Atlante, come appunto Tafza.
Parte delle abitazioni del villaggio sono andate distrutte, compreso il museo di cultura berbera. Ma Haroui, che ha intorno i quaranta anni, è positivo e cerca di descrivere l’evento evitando i toni drammatici.
Il panorama intorno lascia senza fiato e la gente del posto trasmette calore nonostante il freddo e l'umidità.
È inverno, anche se la temperatura è ancora sopportabile, ma qui può arrivare fino a 5° sotto lo zero. La resilienza è certamente il carattere distintivo di questo popolo e contrasta con quanto resta intorno: solo rovine, crepe e povertà. E sotto le scarpe un misto di pietre, paglia e terra, l’impasto con cui si fanno le case.
L'ospitalità berbera che contraddistingue gli abitanti del villaggio regala un’atmosfera familiare: un tour nella casa e poi il rito del tè. In quattro scodelline c’è olio di argan, miele, olio d'oliva e amlou (a base di mandorle e miele), da assaporare con il msemen, il loro pane tipico.
Al primo piano, si vede subito una doccia e accanto due stanze, come due stalle: in una c’è un asinello, nell’altra un bue. È sempre Natale in questa abitazione di Tafza che è davvero un presepe vivente.
Al piano superiore vive Zarah, la zia di Haroui, che porta il nome di sua nonna: «Zarah vuol dire "fiore" – ci spiega la nostra guida - Con lei vivono otto persone. Un tempo qui, ci abitavo anch’io». Nelle case berbere vivono fino a quindici componenti, tutti insieme: fratelli, sorelle, cugini, cugine, zii, prozii, nonni, bisnonni.
Per aiutare la famiglia Haroui accompagna i turisti in visita ai villaggi. I gruppi in genere lasciano qualche offerta, come si fa in chiesa, dentro un cestino di vimini. Meglio se in dinari!

In cucina Sena è intenta a preparare il classico te marocchino: menta, acqua e zucchero. Chissà quante volte avrà ripetuto questo rituale. Con lei c’è sua cognata Wefa, che ha sposato il fratello di suo marito. Condividono la stessa casa.
Il tè precipita nei bicchierini di vetro: il rituale vuole che venga versato dall’alto. Poi Sena lo rimette dentro la teiera, ripetendo questa operazione più volte per mescolare lo zucchero.
Provo a scambiare quattro chiacchere con loro, mi chiedono se ho un marito, rispondo di no. Si guardano, ridono, mi guardano, continuano a ridere divertite. Penso alla mia espressione per la risposta alla domanda di Sena, forse è stata buffa. E la nostra conversazione non va oltre.
Il marito di Zia Zara si fa scattare una foto. Si mette in posa: il suo volto è intenso, esprime serenità mista a preoccupazione. Eccolo immortalato nei miei ricordi.
Il mio gruppo segue Haroui, mentre io, invece, rimango ancora insieme a zia Zarah, che ha voglia di parlare, anche se lo fa solo in berbero. Il suo sorriso che scopre pochi denti è una coccola. Rimango estasiata dalla saggezza che i suoi occhi e i suoi gesti trasmettono.
Zia Zarah mi mostra la camera più calda della casa dove c'è la stufa a legna. L'odore di fuliggine mi riporta indietro nel tempo, alla casa di mia nonna. Nella sua stanza da letto, tutto è in ordine e si sente il tepore della stufa. I cuscini sono fatti con le sue mani, come anche le coperte. Me ne porta una alle mani per mostrarmi meglio il ricamo. Mi sorride, ricambio il sorriso.
Il pullman ci aspetta: è prnto per condurci alla riserva naturale di Sti Fadma. Un gruppo di bambini ci segue, una turista francese regala loro un pacco grande di caramelle. Io mi fermo, mentre uno dei bambini più piccoli rimane indietro dai suoi compagni! Provo un’infinita tenerezza. Il suo volto è così espressivo, marcato dai segni di una vita dura, di chi ha già visto e conosciuto la sofferenza. Scatto due foto a quel piccolo ometto. Vado via, mentre lui resta lì, in mezzo alle macerie, alla polvere, alla povertà, ma nel calore della sua casa berbera.
I berberi o Imāzīghen
II berberi sono un gruppo etnico indigeno del Nord Africa cui presenza si attesta in alcune antiche iscrizioni egizie già a partire dal 3000 a. C. Alcuni studi hanno rilevato diverse affinità fra la civiltà egizia e quella berbera.
L'origine dei berberi è molto discussa e alcuni credono che siano un gruppo etnico misto, e solo in parte autoctono dell'Africa ma con varie contaminazioni di popoli provenienti dall'Europa e dall'Asia.
Si crede questo perchè la zona Nord Africana è stata da sempre dominata da vari popoli stranieri: Vandali, Bizantini, Arabi, Turchi, Romani, Spagnoli e per ultima la colonizzazione da parte delle potenze europee, dell’ Algeria da parte della Francia nel 1830.
Attualmente, i berberi si trovano nella regione del Maghreb (in arabo "luogo del tramonto/occidente", anche se spesso con questo nome si intende soltanto il Marocco) che comprende: Algeria, Libia, Mauritania, Marocco e Tunisia, quello che viene definito il grande Maghreb.
La popolazione maghrebina discende per la maggior parte dai berberi che si trovano in prevalenza in Marocco. Minoranze berbere sono presenti anche nelle isole Canarie, sotto il nome di guanci, primi abitanti dell’Isola, mentre in Libia, Algeria, Nigeria, Burkina Faso e Mali si trovano i Tuareg, popolo nomade stanziato lungo tutto il deserto del Sahara, considerato un sottogruppo dei berberi.
Etimologia del nome
Il nome berbero, "al-Barbar", fu attributo dagli arabi colonizzatori a tutte le popolazioni non di origine coloniale. Il nome arabizzato, a sua volta, sarebbe derivato dalla contaminazione linguistica nelle città costiere con popolazioni parlanti greco e latino. Dal greco “barbaros”, corrispondente al termine latino balbus che indica colui che balbetta, chi non parlava né greco né latino, per estensione straniero.
Imāzīghen è invece il nome utilizzato dai berberi stessi per descrivere tutti i parlanti della lingua berbera (la tamazight, con differenti dialetti) anche se ne esistono diverse varianti questo nome risulta essere quello più diffuso. Sotto il nome berbero vengono talvolta inclusi i berberofili, ossia tutti parlanti della lingua berbera che parlano anche arabo.
L'identità berbera oggi
I berberi si possono classificare come gruppo etnico di origine molto antica. Il processo per il riconoscimento identitario di questa etnia è travagliato, ma bisogna riconoscere loro il doppio ruolo giocato nella lotta anticoloniale, da una parte verso i colonizzatori stranieri dall’altra l’emancipazione dagli arabi, abitanti del luogo. Una volta ottenuta l'indipendenza dalle potente occidentali gli arabi tagliarono fuori dalle cariche pubbliche gli imazighen che non si arabizzavano, proclamando l'arabo quale lingua ufficiale. Prendendo esempio dai loro colonizzatori francesi, gli arabi adottarono un centralismo giacobino, che si basava sul concetto di unità nazionale come abolizione di qualsiasi forma di diversità.
Ma la lotta civile fra berberi e arabi esiste da tempi più remoti, già a partire dal VII secolo d.C., con l'arrivo degli arabi in Nord Africa, vi è stata una sorta di arabizzazione che ha sottratto ai berberi parte della loro espressione, come ad esempio quella della lingua, cui insegnamento è stato a lungo proibito nelle scuole.
Uno fra gli ultimi più tragici eventi fu l'uccisione, nel 2001, di un giovane, Massinissa Guermah, sempre in Algeria (Cabilia) nella caserma della gendarmeria. Il fatto provocò proteste popolari che durarono oltre un anno. Questo periodo viene ricordato come «primavera nera» perchè si concluse con un alto numero di feriti e 120 giovani persero la vita.
Oggi gli imazighen , dopo varie proteste, sono riusciti a mantenere la loro lingua e le loro tradizioni.
Il Re Mohammed VI, ha avviato una politica distensiva per preservare le tradizioni berbere e la struttura matriarcale di alcune tribù al fine di avvicinarsi alle comunità berbere.
Il primo riconoscimento costituzionale della multietnicità del Marocco, della lingua berbera e del suo insegnamento nelle scuole arriva soltanto il 23 luglio 2011, periodo della "Primavera araba", in cui viene firmata a Tangeri una dichiarazione comune da parte di sei personalità in rappresentanza dei berberi di Marocco, Algeria, Tunisia, Libia, Egitto, Isole Canarie. La carta recita che «il riconoscimento ufficiale della berberità in Nordafrica in quanto lingua, cultura e identità è una condizione ineluttabile per la stabilità e uno sviluppo socioeconomico durevole».
A Milano esiste un' Associazione culturale berbera cui presidente è il professore di linguistica Vermondo Brugnatelli, uno fra i massimi studiosi ed esperti contemporanei della lingua e cultura berbera.
Una figura centrale per l'autodeterminazione della berberità è quella di Mustapha Saadi, attivista, avvocato e rifugiato politico in Francia, dove ha creato un’associazione degli avvocati berberi e contribuito al primo congresso internazionale berbero. Nel 2000 insieme al fratello ha dato vita a Berbère Télévision, la prima televisione berbera in Francia.
Saadi insieme ad un gruppo di amici, ha fondato, nel 2010 e nel 2016 , due centri culturali berberi in un piccolo paese vicino Parigi, al fine di sensibilizzare politici francesi ed europei sul tema e far conoscere la cultura berbera. Saadi è inoltre impegnato nella tutela dei diritti individuali e collettivi di questa minoranza.
CURIOSITA': molti fra i padri della chiesa cristiana erano di origine nord africana, quindi parlavano il berbero. Alcuni fra i più conosciuti: sant’Agostino d'Ippona nato a Tagaste in Algeria, autori cristiani come Arnobio, Lattanzio, e Tertulliano, e santi come san Cipriano, san Vittore e santo ambrosiano.




Il nostro viaggio continua verso la montagna di Sti Fadma, località delle sette cascate, ma prima ci fermiamo in una cooperativa berbera di donne divorziate, che ci offrono tè alla menta e dello Msemen, con le classiche scodelline d'olio di argan, miele e amlou cui immergere il pane.
La preparazione dell'olio d'argan rappresenta un'antica tradizione femminile, chiamato anche "l'oro liquido del Marocco". Le bacche, che contengono all'interno una specie di mandorla da cui viene estratto l'olio, vengono raccolte e poi lavorate dalle donne berbere per altre donne, berbere e non. La vendita di olio di argan costituisce un'entrata importante per l'economia del paese, questo commercio favorendo l'imprenditoria femminile ha portato a una maggiore emancipazione delle donne.
Si prosegue verso la riserva naturalistica di Sti Fadma, luogo di villeggiatura per i marocchini. La presenza di cascate e corsi d'acqua rende il posto fresco quando le temperature in città d'estate sfiorano quasi 50 °C.
La salita è ripida, ma ci si può fermare per osservare o comprare qualcosa nei numerosi venditori e artigiani, dai produttori di porcellana ai venditori di zafferano, noci, stecche di mandorle tostate, spremute di melograno e arancia.
Finalmente si raggiunge la cima per osservare "mamma cascata”, la più grande, cui vista si può godere seduti nel baretto di fronte sorseggiando tè caldo alla menta oppure Coca Cola fresca al costo di quasi 4euro. Beh si, si paga il costo d'esportazione ma anche il tragitto dal fornitore più vicino fino a su. Ci fa sorridere l'accostamento e il forte contrasto fra tradizioni antiche e consumismo americano.


Afous cooperativa femminile d'olio d'argan
Afous cooperativa femminile d'olio d'argan



I celebri tappeti Imazigh
I celebri tappeti Imazigh

Ceramiche marocchine
Ceramiche marocchine


Zafferano bio
Zafferano bio

Artigiano berbero a lavoro
Artigiano berbero a lavoro

Accomodati ti offriamo un pò di tè alla menta
Accomodati ti offriamo un pò di tè alla menta

L'uomo che si scalda il cuore
L'uomo che si scalda il cuore

In attesa dei turisti
In attesa dei turisti

Un giovane muratore
Un giovane muratore

Tesserò trame d'incanto
Tesserò trame d'incanto

E' sempre l'ora del tè
E' sempre l'ora del tè

Il bambino dei popcorn esortava la sua mamma a girarsi per farsi scattare una foto da una turista invadente, mentre la donna era alle prese con le faccende domestiche. La loro vita sarebbe potuta cambiare per sempre oppure sarebbe continuata, come sempre, senza particolari colpi di scena, nella Valle dell'Eurika

Marrakesh
La città rossa fondata dai Berberi nell’XI secolo, dichiarata patrimonio dell’Unesco nel 1985

Marrakesh è chiamata città rossa per i tipici mattoni color rosso ocra che caratterizzano i suoi edifici, molti dei quali sono Riad. Costruzioni tradizionali che hanno uno spazio all'aperto con grandi terrazze e cortili lussureggianti, arricchiti con fontane o piscine.
Il mio approdo alla medina, centro storico della città, è turbolento, ma sono siciliana e l’impatto con una città un pò simile alla mia ne attutisce l’impatto.
Una lite furibonda crea del traffico in strada. In una piccola rotonda, a pochi passi da dove il pullman dall’aeroporto mi aveva lasciata, un camion, un motorino e una macchina, posizionati ad X, tanta gente, confusione e urla. “Iniziamo proprio bene” dico fra me e me. Alcune donne mi fanno cenno di allontanarmi velocemente. Lo faccio subito, non avendo la contezza dell’esito.
Una cosa è certa di questa città: la odi o la ami. Nessuna via di mezzo, e l’avrei capito da lì a breve. Marrakesh è una città dai forti contrasti, non a caso, una delle mete turistiche più gettonate del Marocco, nonché la più importante regione dell’Atlante.
Chiamata anche città imperiale insieme a Rabat, Fez, e Meknes, perché un tempo è stata capitale dell’impero. Rimane la denominazione di “Regno”, del Marocco, in cui vige una monarchia semi-costituzionale dal 1972. Il Re attuale è Sua Maestà Mohammed VI, incoronato nel 1999, ventitreesimo Sovrano della Dinastia Alaouita, che regna dalla metà del XVII secolo.
Conosco subito il volto Mohammed VI perché al muro della reception nel Riad dove soggiorno c’è una foto del Re da giovane. In realtà la sua fotografia si può trovare un pò ovunque, dalle case private ai negozi, fino agli uffici pubblici, banche e hammam.
I marocchini sfoggiano orgogliosi la foto del loro Re avente anche il titolo onorifico di Sayyid (“discendente del Profeta”) che gli conferisce il potere di leadership della comunità islamica e collante delle tre fedi: mussulmana, cristiana ed ebraica.
La mia permanenza in questa meravigliosa città dura poco, e l’ultimo giorno rimango con la mia amica Lucia a parlare con il ragazzo della reception, dalle h2.00 a.m fino alle h4.00 am circa, dato che abbiamo l’aereo di ritorno in Italia molto presto.
Hamza è un giovane di 25 anni, laureatosi in chimica. Non ha mai lavorato in quel settore. Iniziamo a parlare di tutto, dalla politica alla religione, fino alle tradizioni. Ci racconta della sua voglia di viaggiare in occidente, ma che non lo può fare perché ha bisogno di avere un pò di soldi nel conto e lui no ne possiede abbastanza. Lavora settanta ore settimanali, forse più, riposa ogni tanto, la notte in una stanzetta all’aperto adiacente il desk della reception. «Qui in Marocco non è come in Europa, non trovi fuori il negozio, cercasi cuoco, cameriere, receptionist, e si può stare mesi, persino anni prima di trovarne uno. Non ci sono diritti e quando finalmente trovi un lavoro, fai di tutto per non perderlo» . Mi viene subito in mente l’introduzione della “settimana corta” da parte di alcune aziende. Un miraggio per Hamza.
Hamza è molto credente e anche praticante come la maggior parte dei musulmani cui religione permea tutta la loro vita. Ci spiega la Salat, ossia la recita quotidiana delle cinque preghiere, momenti fondamentali che scandiscono la giornata di ogni buon musulmano.
Mi è successo mentre vagavo fra i souk di sentire il richiamo alla preghiera da parte dei muezzin. Il canto è davvero ipnotizzante. Soprattutto il venerdì, giorno di particolare preghiera. Ogni venerdì il richiamo è più forte e qualsiasi attività, di solito bucolica, di vendita si arresta. I negozi rimangono aperti ma i proprietari non ci sono. I turisti appaiono disorientati in cerca di qualcosa da mangiare. Mentre i marocchini abbandonano il lavoro per recarsi alla moschea. Sembra di essere sospesi nel tempo, in attesa di qualcosa. Quando la moschea si riempie, i fedeli si riversano nella piazza principale, tutti rigorosamente rivolti verso la moschea. Si inchinano, si rialzano, i movimenti di ognuno sono molto sincronizzati fra loro, che pare essere una coreografia di danza.
Le donne non ci sono, sono a casa a pregare, infatti l’ingresso riservato a loro, separato da quello degli uomini, è vuoto.
Hamza ci spiega il perché: «nella nostra religione hai un punteggio. Se tu fai buone cose guadagni punti positivi se tu sei una cattiva persona hai dei punti negativi. Se l’uomo prega in una moschea guadagna ventisette punti, se una donna prega in una moschea ne guadagna uno.»
«In sostanza, il luogo migliore di pregare per un uomo è la moschea, mentre per la donna è la casa» faccio la perifrasi ad alta voce di quello che ho appena sentito da Hamza, per cercare di digerire il fatto. E credo che Hamza abbia capito.
Mi risponde infatti cercando di essere meno rigido: «E’ questione di ruoli. Ma se una donna vuole andare in una moschea a pregare, è libera»,
Lucia sorride per la storia del punteggio, poi ironicamente gli risponde: «ma questi punti così assegnati incentivano le donne a stare a casa», «certo» risponde Hamza, «per noi è meglio che la donna stia a casa e gli uomini lavorano, perché il primo lavoro per le donne è avere buoni bambini e insegnare loro come vivere. Senza la donna la casa è vuota e la famiglia si sfalda. Per noi la donna è come un cristallo, è bello ritornare a casa e vedere tutto pulito, come lei e i bambini.»
Mi arrendo, Lucia no, e prosegue: «ma, bisogna capire sempre le ragioni dietro ogni cosa», Hamza «questa è una domanda sbagliata da porre a Dio, perché è lui il solo depositario di ogni ragione. «Per capire però alcune azioni e comportamenti», prosegue Lucia, «devi capire il perché.»
«Questa non è una buona domanda perché non possiamo chiedere a Dio il perché. Hishallah. Noi non possiamo fare niente senza il permesso di Dio Hishallah».

I Souk
I colori, i profumi e i sapori di Marrakesh: un viaggio sensoriale

C’è aroma nei suk, e freschezza, e varietà di colori. L’odore, che è sempre piacevole, cambia a poco a poco secondo la natura delle merci. Non esistono nomi, né insegne, e neppure vetrine. Tutto ciò che si vende è in esposizione. Non si mai quanto costeranno gli oggetti, né essi hanno infilzati i cartellini dei prezzi, né i prezzi sono fissi

Una eSplOsIOnE...
I Souk sono tipici mercati che si trovano sopratutto nella Medina (centro storico della città). Le vie che portano alla piazza principale Jeema El Fna sono costellate di souk dove è possibile trovare tutto l'artigianato locale: scarpe e borse in pelle, ceramiche e spezie di ogni tipo. Il consiglio è perdersi in mezzo a questa meraviglia sensoriale, lasciarsi trasportare e godersi una passeggiata senza meta nella medina

dI PRofuMI...coLoRi...
I souk sono un'esplosione unica di profumi, colori, e sapori che generano uno spettacolo ipnotizzante. Prima della chiusura dei souk ci si potrà fermare in uno dei tanti locali per provare i migliori piatti tipici della cucina marocchina, come il cous cous o la Tajine, chiamato con il nome del piatto in cui viene servito. La preparazione può essere a base di carne, pollo, o pesce, ma è disponibile anche la versione vegetariana

e SaPoRi...
Nei Souk il rito della contrattazione rientra nella procedura di un qualsiasi acquisto. Dicono che non bisogna mai pagare più di un terzo di ciò che viene richiesto inizialmente. Quando pensi di aver fatto l'affare, non è mai un affare, o forse si!
Silenzio di Tahar Ben Jelloun
In realtà c’erano diversi tipi di silenzi:
quello della notte. Ci era necessario;
quello del compagno che ci lasciava piano;
quello che osservavamo in segno di lutto;
quello del sangue che circola lento;
quello che ci ragguagliava sugli spostamenti degli scorpioni;
quello delle immagini che ci passavamo e ripassavamo nella mente;
quello delle guardie che tradiva stanchezza e routine;
quello dell’ombra dei ricordi bruciati;
quello del cielo plumbeo di cui non ci perveniva quasi nessun segno;
quello dell’assenza, l’accecante assenza della vita.
Il silenzio più duro, più insopportabile, era quello della luce. Un silenzio potente e molteplice.
C’era il silenzio della notte, sempre uguale,
e poi c’erano i silenzi della luce.
Una lunga e interminabile assenza.

Luce spirituale dalla Moschea di Koutoubia, la più importante della città, a rischio crollo dopo il terremoto

Il c(o)alore dell'ospitalità
Non permetto a un raggio di sole di rovinare tutte le mie banane!


Piazza Jamaa el Fna
Trovavo nella piazza l’ostentazione della densità, del calore della vita che sento in me stesso. Mentre mi trovavo lì, io ero quella piazza. Credo di esser sempre quella piazza.
Jamaa el Fna è la piazza principale e rappresenta il cuore pulsante e vibrante di Marrakesh, attorno alla quale si snoda la medina con i suoi Souk.
La Piazza insieme alle attività e le arti che vi si svolgono sono stati dichiarati dall'Unesco Patrimonio orale ed immateriale dell’Umanità nel 2001.
Jamaa el Fna nasce intorno al 1050 e non era di certo la piazza felice, energica e opulenta che è adesso infatti un tempo in questo luogo si svolgevano le esecuzioni pubbliche, per chi osava ribellarsi al sultano.
Diverse attività animano la piazza, dagli incantatori di serpenti ai venditori ambulanti, dai chiromanti agli ammaestratori di scimmie, fino ai cavatori di denti. Le note allegre della musica gnawa, cui ritmo induce in trance tutti i passanti, si sovvrappongono al chiaccherio di fondo della piazza.

Musica Gnaoua o Gnawa
Genere diffuso specialmente in Marocco, sviluppato nel Nord Africa cui radici affondano nei canti dei discendenti degli schiavi neri. Gli gnawas sono una confraternita che pratica dei riti in cui cantano ed entrano in trance.
L' Unesco, nel 2019, ha ufficialmente dichiarato la musica gnawa Patrimonio Immateriale dell’umanità.
Per produrre questa musica si usano generalmente: il guembri strumento a corda simile a un liuto, suonato dal leader del gruppo Gnaoua, chiamato Maâlem; i qraqebs (in foto), simili a nacchere e il t’bel, grosso tamburo a membrana doppia che si suona con delle bacchette.
Jamaa significa moschea in arabo, luogo dove tutti i seguaci dell'Islam si riuniscono per fare il "Salat", ossia la preghiera che si svolge 5 volte al giorno, accompagnata dal canto affascinante dei muezzin, che invitano i fedeli alla Salat.
La religione ufficiale praticata dal 99% popolazione è quella islamica di origine sunnita della tradizione Maliki. Le minoranze religiose sono quelle cristiana, ebraica e un culto molto antico pre-islamico praticato dalle popolazioni berbere.
La confessione sunnita è la più diffusa nel mondo islamico ed è basata sul rispetto della Sunna, che detta regole e codici di comportamento. Il libro sacro per i musulmani è il Corano.
Non molto distante dalla Piazza principale, un venditore di fichi del deserto
